La sera del Cucibocca
Il Cucibocca è un personaggio che si aggira nelle strade del paese la sera del 5 gennaio che precede la giornata che vede la Befana portare ai bambini tanti doni.
Il Cucibocca ha la barba bianca e lunga, per copricapo un
vecchio berretto o un fiscolo di canapa, pantaloni vistosamente rattoppati,
alle scarpe sono legate spezzoni di catena. In una mano tiene una lanterna
illuminata, nell’altra ha un grosso ago con lungo filo per cucire la bocca ai
bambini riottosi ad andare a nanna.
Il testo che segue racconta dell’incontro del Cucibocca
con un bambino che la sera del 5 gennaio, temendo l’arrivo del Cucibocca, se ne
sta in casa.
Buona lettura.
CUCIBOCCA
Mamma ci parlava del Cucibocca che proprio la sera del
cinque gennaio girava per le strade del paese con la lanterna, la catena al
piede e nella mano l’ago con il filo per cucire la bocca a certi bambini. Io
pensavo che il Cucibocca da noi non sarebbe venuto ché abitavamo in campagna. E
poi, con il freddo della sera, non sarebbe venuto fino a lì dal momento che avrebbe
potuto ottemperare al suo compito con i bambini che abitavano in paese. Mamma
parlava quasi sillabando le parole con lunghe pause. Mio fratello non toglieva
gli occhi dalle labbra di mamma. Speravo che papà rientrasse presto. Se a casa
stava papà nessun cucibocca sarebbe entrato per cucire la mia bocca o quella di
mio fratello. Nelle pause di mamma percepivo il silenzio che c’era fuori. Speravo
di sentire l’abbaiare festoso di Bakunin come faceva ogni volta all’arrivo di
papà. Il tempo trascorreva. Papà non arrivava. In certi istanti la paura del
Cucibocca mi prendeva in tutto il corpo. A mamma chiedevo le fave abbrustolite.
Le sbucciavo con rumore di denti. Avevo la bocca piena di tre fave. Smisi di
sbucciare le altre. Mamma riprese con le storie del Cucibocca. Non cambiava
argomento. Mi tranquillizzai quando affermò che in genere le bocche cucite erano
quelle dei bambini picciosi e disubbidienti. Mi feci un attento esame di
coscienza. Non trovai, nell’arco dell’ultimo anno della mia vita, comportamenti
picciosi o di disubbidienza ai miei genitori. Sperai nell’arrivo di papà. Il
tempo trascorreva. L’ombra di mamma sulla parete cambiava continuamente. Mi
mettevo dietro il vetro della finestra per vedere ciò che accadeva fuori. Era
tutta oscurità, ad eccezione della luce del lumino davanti alla croce sul bordo
della strada. Osservavo la moltitudine delle stelle, di sicuro anche loro erano
freddissime. Mi avvicinai a mamma. Per fortuna se ne stava in silenzio a
rigirare le fave nella cenere calda. Mio fratello non si muoveva dalla chianca.
Chissà cosa gli passava per la testa. Io una certa paura ce l’avevo. Speravo
nell’arrivo di papà. Speravo pure che il Cucibocca non si avventurasse per la
strada di casa. Bakunin abbaiava. Non abbaiava festoso come quando arrivava
papà. Probabilmente abbaiava a un altro cane. Ma se ci fossestato, anche
l’altro cane avrebbe abbaiato. Invece abbaiava solo lui, Bakunin. Si udì appena
un rumore davanti a casa. Mi vennero i brividi in tutto il corpo. Volevo
nascondermi. Fuggire. Guardai mamma. Non si scompose. Continuava a rigirare le
fave. Forse non aveva sentito. Qualcuno bussò alla porta. Non era papà. Papà aveva
le chiavi. Bakunin non smetteva di abbaiare. Mamma abbandò le fave e pure me e
mio fratello. S’avviò chiedendo: – Chi è? - Quello di fuori bofonchiò qualcosa.
Mamma risoluta aprì la porta. Era lui, il Cucibocca. Entrò con scarponi e
strascico di catene. Era alto. Gli occhi cerchiati di nero. Avvolto in un
mantello scuro. Un cappello scalcagnato. Da una mano pendeva la lanterna. Con
le dita dell’altra mano teneva un ago maestoso con il filo ben visibile e di
una certa lunghezza. Appeso al braccio aveva un panaro. Non sapevo che fare.
Potevo fuggire nella notte fredda e infinita. Mi sentivo atterrito. Mi convinsi
che era giunto il mio turno. Quello mi chiamò in tono affabile. Sapeva il mio
nome e pure il nome di mio fratello. Come faceva a conoscerci? Qualcuno gli aveva
parlato di noi. Ci mostrò l’ago facendosi luce con la lanterna. Disse di non
essere proprio sicuro di come ci eravamo comportati per tutto l’anno appena
trascorso. Mamma, come faceva con le brave persone, in tono affabile, lo invitò
ad accomodarsi. Avvertivo che la paura mi stava abbandonando. Quello, prima posò
il panaro e il lanternino sul pavimento, poi, senza fretta, si sedette
comodamente con una certa soddisfazione. Ora gli osservavo le scarpe grosse con
le catene attaccate e i pantaloni rattoppati da ampie pezze. Sentivo Bakunin
che abbaiava festoso: papà era in arrivo. Non credevo che il Cucibocca avrebbe
potuto farci del male in presenza di papà che, intanto, stretto nel mantello, era
arrivato in casa infreddolito. Salutò il Cucibocca e non si spaventò
minimamente dell’ospite, anzi gli disse: – Allora, la cuciamo la bocca a questi
due bambini?
Intanto, però, accennò un sorriso, e quello risponse:
– Ma no, ma no! Non è il caso di sprecare il filo con
questi due bravi bambini.
La paura svanì completamente. Osservai la sua faccia
piena di barba. Sulla buffetta mamma mise due bicchieri e la bottiglia di vino.
Papà riempì i bicchieri. Entrambi sollevano i bicchieri e dicono: – Alla
salute! Tracannarono in un baleno. Papà li riempì di nuovo. Dal tono e dalle
parole si capiva che papà, e forse pure mamma, conoscevano bene il Cucibocca
che, ora, si dilungava a raccontare delle visite che aveva già fatto alle altre
famiglie e di certi bambini che s’erano impauriti alla vista dell’ago. Mamma,
forse perché quello non ci aveva cucito le bocche, mise quattro uova nel
panaro. In testa mi si accesero immagini di bocche cucite dei bambini di tutto
il mondo. Mi ritenni fortunato ad avere le labbra e la bocca senza filo. E i
doni della Befana non mi allettavano. Mi bastava avere la bocca e le labbra
libere. In fondo, non tutti i cucibocca erano cattivi.
Kommentare
Kommentar veröffentlichen